Il volo dell'angelo
Sandro, amore mio, ti ricordi la prima volta che ci siamo visti? Eravamo in quella falesia che c’è sul lago di Como, quella con il 6b vicino al 6a che però secondo tutti è un po’ sgradato, no, non quella con le prese svase di fianco a una chiesa dell’XI secolo – non so come si chiami la chiesa, non mi ci hai fatto entrare, dicevi che era una perdita di tempo – ma quell’altra, che al terzo spit della quinta via da sinistra (settore basso) ha tre margherite gialle, ed è un po’ unta. Era la mia seconda uscita in roccia.
Ricordi come è cominciata? Stavi salendo, quando a un tratto hai staccato un blocco grosso come un frigorifero che mi ha fratturato le falangi. Mi sei sembrato bellissimo, quel giorno, come l’Angelo della Morte: ti sei girato, con quei capelli che parevano un’aureola nel sole, e hai borbottato “Ma cazzo, è proprio da pirla stare lì sotto.” Il sangue nelle vene mi scorreva come la corda in un gri-gri, finché tu non hai gridato “Blocca!” e sei sceso a vedere. “Non è niente” hai detto, guardandomi con i tuoi occhi di granito. “Solo una botta” ho detto io, prima di svenire, scivolando lungo la placca del mio dolore.
Così è cominciata. Te lo ricordi? No, forse no, anche se per mesi mi hai ripetuto di esserti innamorato di me a vista. Non ti ho mai creduto che fosse stato proprio a vista: sulla maglietta che mi hanno ridato al pronto soccorso c’erano delle ditate di magnesite. Le tue.
In ogni caso è stato bello stare con te, lo ammetto. Un po’ faticoso, magari. Come quella volta che mi hai promesso un caminetto e io – ingenua – sono arrivata con il vino rosso e la padella delle caldarroste. Eravamo ai primi di novembre e ti avevo chiesto un tramonto d’oro e di fuoco. A metà del diedro che c’era prima del caminetto mi hai guardato con i tuoi occhi di granito che però eri così incazzato nero che parevano di basalto – un Angelo Vendicatore – e mi hai buttato giù lo zaino. Cosa ne sapevo io che il caminetto era di 6° e poco appigliato? Io pensavo che tu mi volessi baciare su una pelle di pecora stesa davanti al fuoco. Comunque sappi che non ti porto rancore, anche se la padella si è rovinata e lo zaino puzza ancora di vino novello. E il caminetto era molto divertente, davvero, mi è piaciuto tantissimo. Magari avresti potuto baciarmi, pure senza pelle di pecora e senza fuoco, invece che limitarti a stringermi la mano e a dirmi “Ce l’hai fatta, donna!”
Da te ho imparato tante cose, Sandro, angelo mio. Mi hai insegnato tu a usare i rinvii. “Rinvia appena puoi!” mi dicevi. Certo, non avevo capito che avresti continuato a rinviare anche dopo essere arrivato in catena, e dopo essere tornati alla macchina, e anche al lavoro. Rinviavi le cene, il cinema, gli aperitivi. “Dammi corda, bimba, lasciami vivere. Ho bisogno di allenarmi.” Tu e le tue promesse da mezzo barcaiolo.
Sandro, io ti ho dato le ore migliori della mia vita mentre tu inspirando ed espirando rumorosamente ti dondolavi appeso a un pannello sopra la porta del bagno. Ma in ogni caso non rimpiango nulla, come ti ripeto è stato molto bello.
Sì lo so, ti ho mollato. Succede, nelle coppie. Forse non avrei dovuto farlo quando tu stavi uscendo da quel tetto, e mi hai detto “Occhio che vado”. Sei andato davvero. Finalmente ti ho avuto ai miei piedi. Spero che tu guarisca presto, Sandro, e che non mi serbi rancore.
Foto di Andrea Parapini.
Ricordi come è cominciata? Stavi salendo, quando a un tratto hai staccato un blocco grosso come un frigorifero che mi ha fratturato le falangi. Mi sei sembrato bellissimo, quel giorno, come l’Angelo della Morte: ti sei girato, con quei capelli che parevano un’aureola nel sole, e hai borbottato “Ma cazzo, è proprio da pirla stare lì sotto.” Il sangue nelle vene mi scorreva come la corda in un gri-gri, finché tu non hai gridato “Blocca!” e sei sceso a vedere. “Non è niente” hai detto, guardandomi con i tuoi occhi di granito. “Solo una botta” ho detto io, prima di svenire, scivolando lungo la placca del mio dolore.
Così è cominciata. Te lo ricordi? No, forse no, anche se per mesi mi hai ripetuto di esserti innamorato di me a vista. Non ti ho mai creduto che fosse stato proprio a vista: sulla maglietta che mi hanno ridato al pronto soccorso c’erano delle ditate di magnesite. Le tue.
In ogni caso è stato bello stare con te, lo ammetto. Un po’ faticoso, magari. Come quella volta che mi hai promesso un caminetto e io – ingenua – sono arrivata con il vino rosso e la padella delle caldarroste. Eravamo ai primi di novembre e ti avevo chiesto un tramonto d’oro e di fuoco. A metà del diedro che c’era prima del caminetto mi hai guardato con i tuoi occhi di granito che però eri così incazzato nero che parevano di basalto – un Angelo Vendicatore – e mi hai buttato giù lo zaino. Cosa ne sapevo io che il caminetto era di 6° e poco appigliato? Io pensavo che tu mi volessi baciare su una pelle di pecora stesa davanti al fuoco. Comunque sappi che non ti porto rancore, anche se la padella si è rovinata e lo zaino puzza ancora di vino novello. E il caminetto era molto divertente, davvero, mi è piaciuto tantissimo. Magari avresti potuto baciarmi, pure senza pelle di pecora e senza fuoco, invece che limitarti a stringermi la mano e a dirmi “Ce l’hai fatta, donna!”
Da te ho imparato tante cose, Sandro, angelo mio. Mi hai insegnato tu a usare i rinvii. “Rinvia appena puoi!” mi dicevi. Certo, non avevo capito che avresti continuato a rinviare anche dopo essere arrivato in catena, e dopo essere tornati alla macchina, e anche al lavoro. Rinviavi le cene, il cinema, gli aperitivi. “Dammi corda, bimba, lasciami vivere. Ho bisogno di allenarmi.” Tu e le tue promesse da mezzo barcaiolo.
Sandro, io ti ho dato le ore migliori della mia vita mentre tu inspirando ed espirando rumorosamente ti dondolavi appeso a un pannello sopra la porta del bagno. Ma in ogni caso non rimpiango nulla, come ti ripeto è stato molto bello.
Sì lo so, ti ho mollato. Succede, nelle coppie. Forse non avrei dovuto farlo quando tu stavi uscendo da quel tetto, e mi hai detto “Occhio che vado”. Sei andato davvero. Finalmente ti ho avuto ai miei piedi. Spero che tu guarisca presto, Sandro, e che non mi serbi rancore.
Foto di Andrea Parapini.